Il tema di questo articolo è davvero impegnativo perchè parla di relazioni che vengono mediate e vicariate da codici comunicativi e “regole” differenti -e spesso molto personali-; relazioni i cui problemi fondamentali risiedono nel creare dei canali di ascolto e quindi di “interazione” su più livelli e spesso con diversi strumenti.
Già il fatto che si inizi parlando di canali “diversi” presuppone che dette relazioni possano essere caratterizzate da difficoltà o differenze.
Da qui nasce il bisogno di superare queste disparità e farne invece dei punti di sviluppo: la condizione finale è di superare gli ostacoli che si affrontano per arrivare ad un punto di incontro che non deve essere per forza sull’una o l’altra sponda ma anche “nella via di mezzo”.
E’ un lavoro di elasticità mentale, di apertura all’ignoto ma che anche per piccoli insuccessi e tentativi può, un giorno, farci arrivare al punto di svolta: un “luogo di nessuno” in cui ci si può per un attimo anche se non capire “comprendere” e attraverso la comprensione l’accettazione incondizionata dell’essere “qui ed ora insieme” e non più “soli” ognuno nel proprio mondo.
In effetti la nostra è una realtà sociale in cui la comunicazione” verbale e non” è necessaria per poter vivere la propria vita in maniera piena e soddisfacente e quindi la comunicazione, gli usi e consuetudini sono quel bagaglio che ci portiamo dietro e che arricchiamo nel corso della vita che nutre il nostro essere parte del mondo.
Ma cosa succede quando questi canali sono diversi e talmente tanto indecifrabili da sembrare totalmente assenti? Il mondo diventa un luogo sconosciuto in cui vivere è talmente opprimente che chiudersi in se stessi sembra essere l’unico modo per sopravvivere.
Quella che noi chiamiamo diversità come è vissuta da chi ne fa parte?
Probabilmente a questa domanda una risposta definitiva non potrà mai essere data. Ritengo che lo sforzo più importante da fare sia quello di trovare un punto di incontro possibile solo con la precipua condizione di essere aperti a ciò che è diverso, nuovo, apparentemente difficile ed incomprensibile.
Dovremmo rivalutare il termine ostacolo per non identificarlo con qualcosa che ci inibisce ma come un trampolino di lancio per raggiungere uno spazio nuovo, una nuova consapevolezza, una nuova percezione della realtà…
Alla fine questa è la metafora della vita, superare gli ostacoli per crescere, per essere migliori, per vivere appieno.
E, soprattutto, quando questo ostacolo non è una difficoltà ma un mondo ignoto al quale dobbiamo saper tendere la mano e cercare aiuto.
Ci sono studi, scuole, vite di grandi uomini, mestieri che lavorano per trovare questo linguaggio ma perché è insito in ogni essere vivente, nella sua stessa natura ricercare la relazione nello stare insieme e capire dove c’è necessità, portare ordine dove c’è il caos e ristabilire equilibrio dove ci sono mancanze.
Tra i tanti linguaggi conosciuti e studiati è forse quello del “non linguaggio” l’approccio più semplice da cui partire, bisogna saper abbandonare le nostre certezze senza rinunciare alle nostre conoscenze e ripartire un po’ ogni giorno, con la consapevolezza di ciò che si è ma ben sapendo che davanti a noi c’è un sentiero non segnato.
E’ difficile da spiegare come concetto ma pensate a quando volete comunicare con un bambino piccolo che ancora non sa parlare: sono le emozioni, gli sguardi, il linguaggio del corpo a dirvi se sta bene o cosa gli manca ma provate a pensare a chi ha il corpo e la mente feriti nel loro normale sviluppo che sia una malattia o un trauma!
Allora tutto un mondo conosciuto è azzerato, una tavola bianca che si presta a dover essere scritta, ma come? Si potrebbe impazzire di fronte a questa domanda se non che la “non consapevolezza di vivere” è forse l’unico paracadute per non impazzire.
E qui ancora di più e necessario mettersi in discussione, ricercare mediazioni, canali nuovi, mezzi che sappiano smuovere emozioni e sensazioni, buoni samaritani che non giudichino, che non studino, che non cerchino di capire, ma che si prendano in carico il “valore diverso” e siano disposti a traghettarlo per mondi paralleli!
I traghettatori di emozioni…
Nella mia vita ho conosciuto questi traghettatori e mi scopro a chiamarli così perché sono proprio anime pulite e libere da ogni condizionamento, perché “dotati di anima” ma “non persone”, quindi già diversi dall’essere umano ma comunque intelligenti tanto da accettare la diversità e, nonostante tutto, aperti alla comprensione.
Ecco, questa parola magnifica che ricorre ancora: la comprensione che non vuol dire capire ma accettare di essere diversi ma non per questo essere meno o più dell’altro!
Solo “diversi” e quindi potenzialmente passibili di potersi arricchire l’un l’altro di nuove esperienze e nuove emozioni. Chi è allora questo traghettatore capace di tali mirabili prodezze? Ovviamente il Cavallo! Questo animale bellissimo e di rara bellezza, compagno di vita per millenni degli esseri umani, amato e odiato, ricordato e dimenticato a necessità.
Ecco, il cavallo, è un essere capace di straordinarie possibilità ed è la sua sensibilità, il suo andare oltre tutto attraverso il “sentire” che ci porta molto più vicino a quelli che sentono e comunicano in maniera diversa dalla nostra e, altra dote suprema, non conoscono “il tempo e il giudizio”.
Per loro è tutto “qui ed ora”, non dimenticano ma non giudicano, per loro non siamo belli o brutti, bravi e buoni o brutti e cattivi, siamo solo altri esseri da conoscere e con cui relazionarsi.
Il loro è un mondo molto più semplice, la loro vita è più limpida e attraverso questa purezza attraggono e rilasciano emozioni senza filtri, ed è forse per questo che l’empatia che infondono è così naturale, pur -nello stesso tempo- profondissima.
Il cavallo già studiato da millenni è diventato un valido supporto comunicativo anche se prima gestito più come “mezzo” oggi è, invece, riconosciuto per le sue straordinarie doti empatiche.
Potremmo dilungarci per pagine su vari aspetti ma l’accento che voglio sottolineare oggi è il ruolo del cavallo come mezzo di mediazione perché la difficoltà maggiore è proprio questo: l’approccio in quella che è definita la relazione di aiuto tra cavallo e uomo e nello specifico il sostegno che vogliamo dare attraverso di lui a chi è in difficoltà.
E qui che spiccano le straordinarie doti di “sopportare” anche le mancate risposte o quelle addirittura negative senza per questo farne un deficit o un passo indietro nel cammino iniziato.
Il cavallo gioca in questo tipo di approccio un ruolo fondamentale perché noi esseri umani o chiediamo troppo o non siamo capaci di chiedere annebbiati spesso da troppi input e troppe emozioni confuse e anche, sempre, desiderosi di ottenere una “risposta” alle nostre domande.
La vita di ogni essere umano è costruita dalla propria esperienza, plasmata dalla società e dagli studi fatti e dal lavoro svolto, ed è proprio per la necessità di ritrovare una chiarezza mentale che abbiamo bisogno dello “strumento-cavallo” per arrivare in fondo al tunnel dove provare a tendere la mano per toccare l’infinito “lontano” di questi mondi a sé.
Perché se tante patologie conducono a condizioni “standardizzate”, se tante condizioni deficitarie generano disabilità simili, ogni vita ha valore unico, irripetibile e ogni giorno bisogna cercare una nuova strada, un nuovo sentiero, ma accompagnati dal cavallo mai si perderà la capacità di ascoltare perché sarà sempre un canale aperto, privo di condizionamenti, senza pregiudizi, instancabilmente malato di “sentire” e nel sentire desideroso di amare per non sentirsi solo.
Paola Vigani
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