Come tutti gli operatori che lavorano con soggetti deboli o con esigenze speciali anche chi opera nel campo della rieducazione equestre si può trovare a dover rispondere a bisogni o a domande non sempre soddisfabili, per ridotte risorse a disposizione o perchè le richieste risultano improprie o ambigue: è questa l’anticamera del cosiddetto bornout.

Questo è il rovescio della medaglia di una professione di supporto che basa gran parte della sua efficacia sulla cosiddetta relazione d’aiuto.

Alcune persone sono maggiormente predisposte a questo malessere, per sensibilità particolare o per esperienze di vita particolarmente toccanti. E’ evidente che alcune tipologie di utenza possono creare maggiori disagi emotivi all’operatore: pensiamo a persone che approcciano all’ippoterapia con patologie mentali o psicotiche particolarmente scompensanti, o soggetti caratterizzati da specifiche malattie, ai bambini spesso gravemente comproessi…

Spesso prestare una relazione d’aiuto ad un bambino con importanti deficit può realmente stringere il cuore e l’immedesimazione, aggravata dal simbolo stesso dell’essere bambino (ovvero la proiezione nel futuro con tutte le potenzialità che l’età puerile comporta), rischia di condurre ad uno stato di deprivazione morale e senso di inadeguatezza spesso insormontabili.

Il senso di impotenza, la perdita del senso di identità e di efficacia del proprio ruolo, aggravati da alti livelli di stress psicofisico, sono tutti vissuti potenzialmente sperimentabili in queste circostanze che rendono il tecnico meno disponibile ed attento nei confronti dell’utenza.

E’ la cosiddetta “sindrome del burnout” che fa percepire all’operatore del sociale una incolmabile discrepanza tra le richieste dell’utente e le risorse a disposizione per fornire risposte efficacemente esaustibili.

Questo conduce ad un senso di impotenza acquisita, dettata dalla convinzione di non poter far nulla per modificare la situazione; l’esaurimento delle energie e della spinta a fare si può manifestare anche con sintomi fisici, ma anche psicologici come senso di colpa, negativismo, alterazioni dell’umore, scarsa fiducia in sé, irritabilità, scarsa empatia e capacità di ascolto.
Si possono avere poi delle reazioni comportamentali sul posto di lavoro di difesa o di evitamento che spesso tendono a spersonalizzare i rapporti.

Non si creda che, solo per  il fatto che il lavoro nell’ippoterapia sia svolto all’aria aperta ed in un contesto informale e “demedicalizzato” gli operatori del settore siano meno predisposti a vivere queste situazioni; gli elementi che forse possono aiutare risiedono nella temporaneità del contatto con l’utente (in genere le nostre attività durano massimo 45 minuti- un’ora) e nell’interscambio di più utenti nella giornata di lavoro che, inevitabilmente, innescano differenti tipologie di relazioni e bilanciano il carico di investimento emotivo dell’operatore.

Guardiamoci dentro per capire cosa succede…

Un aspetto fondamentale per rendersi conto di questa condizione di disagio è proprio quello di valutare l’effetto che un utente produce su noi stessi e sui sentimenti che egli stesso, sia pure inconsapevolmente, ci fa provare. Nelle situazioni positive e normali possono essere sentimenti di ideazione, ammirazione, o altri aspetti positivi di un rapporto.

Più spesso, però, accade che vengano trasferiti su di noi i sentimenti che l’altro non riesce a tollerare o non può tollerare da solo: l’impotenza, la confusione, il panico, la colpa, la disperazione, la rabbia…

E’ importante restare positivamente in una posizione di attenzione, ascolto, ricettività, mantenendo però quella razionale capacità di riflettere, anche quando l’utente è preso da ansia (potenzialmente pericolosa per se stesso e per la situazione equestre) e preme perché sia fatto qualcosa che lo tolga dalla situazione di difficoltà. Si tratta cioè di tollerare il “dolore mentale” dell’utente e proprio attraverso quella qualità che si chiama “capacità relazionale”.

Per ascoltare, osservare, riflettere ed essere emotivamente in contatto con le emozioni ed i sentimenti dell’interlocutore, occorre “sentire” le proprie emozioni ed i propri sentimenti attraverso uno strumento unico ed essenziale: la nostra mente. Questa è un’insieme non solo di intelligenza e di conoscenze, ma anche di emozioni e affetti, alcuni dei quali inconsci.

Dobbiamo essere preparati ad avere esperienze emotive, provare paura, depressione, confusione… proprio come i nostri utenti…

Poiché è parte del processo relazionale, non dobbiamo sorprenderci se, a volte, ci sentiamo travolti dai sentimenti e dobbiamo compiere un duro lavoro mentale per non esserne oppressi.
Proviamo quindi ad ascoltarci dentro, a porre attenzione a ciò che accade. A quello che riusciamo a sopportare e a quello che non riusciamo a reggere; agli interventi che ci vengono facili o ci danno soddisfazione e a quelli che ci risultano più difficili, ci stancano, ci mettono in crisi.

Con umiltà ed attenzione dobbiamo imparare a conoscerci, a fidarci di noi, a tener conto di cosa pensiamo e proviamo. A valutare quali sono le condizioni di lavoro accettabili per noi, quali riteniamo difficili e su cui ameremmo un confronto, un aiuto, un intervento di formazione o di supervisione.

Come prevenire il burnout in un servizio di ippoterapia?

Si possono evidenziare alcune indicazioni utili per prevenire su questo fenomeno:

  • Lavorare in sinergia con una valida équipe: questo permette di conoscere l’operato dei colleghi, di esporre il proprio e di discuterlo insieme, permette inoltre di elaborare i propri vissuti psicologici in relazione all’utenza in un contesto di partecipazione emotiva e di confronto con altri operatori.
  • Avere metri di paragone con colleghi anche di altri centri, magari attraverso la partecipazione degli eventi, convegni o manifestazioni nel panorama equestre “unificato”.
  • Intervenire sull’organizzazione del lavoro, in particolare su orari, turni e carichi di lavoro, in modo da alleggerire, per quanto possibile, il carico emotivo per ogni operatore.
  • Dotarsi della supervisione di un professionista (psicologo o counselor) esterno alla struttura equestre, dal momento che la sua estraneità permette un giudizio maggiormente obiettivo sulla situazione e sul modo di lavorare dell’équipe.
  • Riconoscersi il diritto di non accettare la presa in carico di alcune tipologie di utenza per le quali si è particolarmente sensibili o coinvolgibili: all’interno del gruppo di lavoro ci sarà certamente il collega che potrà sostituirsi a noi per garantire comunque il servizio.

E’ fondamentale:

  • Sapersi ascoltare con sincerità;
  • Valutare se abbiamo bisogno noi stessi di aiuto ed eventualmente saperlo chiedere ai nostri responsabili o ad operatori di altri servizi che intervengono, a vario titolo, nella situazione in qui siamo coinvolti;
  • Saper cogliere e segnalare le situazioni-limite, o comunque quelle che non riusciamo a sopportare, in modo che vengano prese decisioni adeguate

Fino a quì abbiamo parlato del malessere dell’operatore di ippoterapia: in un prossimo articolo tratteremo anche della prevenzione di eventuali malesseri del cavallo dettati dalla routinarietà dei servizi di rieducazione equestre.

Ci sembra importante anche questo aspetto in quanto anche il nostro collega di lavoro ha specifiche esigenze e corre l’obbligo morale e materiale di pensare anche a lui…