Stabilire la differenza tra un’attività assistita da animali e una seduta di tipo riabilitativo non é compito di questa trattazione.
Le definizioni sono ormai di uso corrente e sono state accettate da addetti ai lavori e non. Quello che però mi preme é sottolineare che non basta mettere un disabile a cavallo o farlo giocare con un cane per affermare che si tratta di una attività o di una terapia assistita da animali.
Ad esempio, in equitazione, i vari ”giri dell’orto” offerti da alcune strutture a persone con esigenze speciali da parte di persone che non hanno preparazione specifica in questo campo: attività utilissime e lecite, se non le si investe di significati che non hanno, e sopratutto non si ha intenzione di lucro ma solo di offrire ad una persona debole la possibilità di fare qualcosa di nuovo o di bello.
Così come non basta che un animale sia ”bravo e tranquillo” affinché si possa definire un ”animale da terapia”, perché esso non ha -o non ha ancora- uno specifico ruolo in progetti dove tutti gli aspetti siano ragionati e controllati.
Non si contano gli animali che hanno appreso che per avere cibo, attenzioni e magari la possibilità di passare del tempo indisturbati con dei loro simili, devono sottomettersi ad alcune attività con l’uomo. Ma questi, svolgono queste attività tramutandosi in ”strumenti” al servizio dell’uomo ma trattenendo, per i loro simili, quella attenzione, quel desiderio di inter-agire, quella disponibilità mentale, fisica e di apprendimento che invece un animale ”da terapia” immette come risorsa nel procedimento terapeutico stesso e nella relazione con gli esseri umani.
Un esempio di questo sono quei cavalli che sono trattati da ”oggetti” per esaltare l’umano con cui inter-agiscono. Cavalli ”palcoscenico” per l’ego dei loro cavalieri che li prendono, li tirano fuori dal box, li ”usano” e poi li ripongono nello spazio ”contenitivo” a loro destinato -come si farebbe con un paio di scarpe, un ombrello o un altro oggetto utile- senza realmente investire nella conoscenza profonda di un compagno non-umano. Tendenza, questa, che si riscontra prevalentemente negli uomini, dato che l’approccio femminile pare mediato da un istinto ”materno” trasposto anche nei confronti di soggetti di altre specie.
E sarebbe interessante valutare l’impatto nell’ultimo secolo di una forte presenza femminile in ambiti tradizionalmente ”maschili” -e legati alla tradizione militare- come l’addestramento che non a caso perde oggi la sua connotazione di ”dominanza” assoluta e gestione ”dura” dell’animale percepito come ”irrazionale’.’
A mio modesto parere anche occuparsi di diversi animali non rientra nell’ambito di attività assistite da animali se non indirettamente, dato che si tratta di terapia occupazionale in ambito naturale, ma non prevede sempre un rapporto diretto tra utenza e animali -dato che al soggetto umano viene assegnato un ruolo secondario di ”ricevente”- che metta i ”partners” in contrapposizione e che sia proprio per questo fecondo, generatore di cambiamenti sul piano fisico o psicologico.
Queste diverse attività e terapie sono compatibili e possono svolgersi nello stesso ambiente, a volte si completano e si integrano, ma non sono la stessa cosa.
Un’attività o una terapia realmente assistita da animali presuppone che l’utente si debba misurare con l’animale stesso.
Sul piano fisico con il suo corpo, la sua massa; sul piano psicologico con la sua volontà (magari diversa dalla nostra).
Significa apprendere nuovi modi di comunicare e farsi comprendere. Significa decidere cosa si vuole fare e chiedere all’animale di farlo con noi usando quei sistemi di comunicazione che avremo appreso.
Significa poi capire cosa sbagliamo -cosa di cui abbiamo percezione da come risponde l’animale alle nostre richieste- e che conseguenza ha ogni azione che compiamo.
Significa anche affrontare le paure che possiamo avvertire nel processo e lasciarsi pervadere dalle emozioni che tutto questo suscita in noi ed apprendere anche a gestirle.
Significa, in altre parole, scontrarsi con i nostri limiti nel mondo reale e farlo con l’apporto di un altro essere vivente che é partecipe, viaggia con noi verso la trasformazione, impegnando la sua carne e la sua mente, diventando uno con noi, fondendosi con quello che siamo, facendo di due uno come in qualsiasi matrimonio.
Alcune persone, a cavallo, saranno sempre ”passeggeri”, mentre altri, anche con handicap gravissimo, riescono a diventare cavaliere o amazzoni perché inducono gli animali ad ”ascoltare” la loro volontà e apprendono a chiedere in maniera non verbale ”fallo con me, per piacere” magari tramite ausili o con l’aiuto di qualcuno che si rende disponibile a fare quello che l’altro non può fare -ma desidera fare, sa che è la cosa giusta da fare-.
Non che fare i ”passeggeri” sia inutile! Ci sono un’ampia gamma di attività che sono fortemente utili e apprezzati da soggetti che forse non sapranno mai gestire in autonomia un animale ma possono trarre enormi benefici dal partecipare a programmi dove hanno comunque la possibilità di fare delle cose con un animale.
Senza contare il vasto apporto benefico dato da questo genere di interventi sul piano riabilitativo, sportivo e ricreazionale che si debbono considerare separatamente perché sarebbe impossibile sintetizzare in poche righe tutto quello che si può fare in questi campi, di specifico, per contrastare singole problematiche umane siano esse legate ad un male fisico o psicologico, a particolari condizioni di vita o semplicemente al ”non stare bene nella propria pelle”.
D’un tratto non si é più solo sé stessi ma sé con l’altro: un identità dinamica, in trasformazione.
Avrei potuto in questa sede fare un freddo elenco comprendente gli ambiti toccati dall’esperienza ma ho preferito trasportare il lettore all’interno dell’inter-azione e lasciare che ciascuno tragga le sue conclusioni. Rimando coloro che desiderano affrontare l’argomento attraverso la mediazione data da un analisi storica/sociale e legata alla simbologia di cui l’animale diviene ”portatore”, alla lettura di testi specificamente stesi per descrivere l’inter-azione nei suoi diversi aspetti.
Clare Olme
[…] del “ponte animale” può rivelarsi veramente facilitante nel tirare fuori argomenti ed attivazione relazionale; una […]
Sono assolutamente d’accordo che l’utente si debba misurare con l’animale stesso perchè gli animali sono esseri potenti, primitivi, istintuali, che possono incutere timore ma che, una volta diventati nostri alleati, possono aiutarci a ritrovare,quell’istinto vitale, primitivo, non razionale e non verbale, che ci apre al mondo e ci stimola a nuove esperienze…E’ in questo senso che l’esperienza con il cavallo può definirsi propriamente “terapeutica” offrendo all’ uomo vissuti positivi e stimolanti riportandolo in diretto contatto con un mondo di cui non si può sentire l’unico padrone ma si spinge verso la cura e la riabilitazione di situazioni di malattia o disabilità dove uomo cavallo e disabile saranno un unica cosa rispetto ascolto amore e benessere…
Mi piace pensare che chi si avvicina al cavallo (per esigenza propria e non per necessità dell’animale) capisca quanto sia arricchente entrare in quell’ottica di cooperazione e collaborazione. Di comprensione dell’altro e del tenerne in considerazione le esigenze e i bisogni. Mi piace che ci siano tre entità, e che la terza, connubio delle prime due, abbia infinite possibilità, infiniti modi di evolvere, immense potenzialità. Mi piace che il cavallo non si ponga in maniera giudicante ma che sia onesto nella fermezza delle sue reazioni, imponendo un chiaro limite tra ciò che si può e quello che non si deve. Mi piace che sia una metà corretta e la sensazione che restituisca il senso del giusto, del necessario. Di quello che alla fine nella vita conta davvero.
Questo articolo mi ha rimandato al pensiero un capitolo de “Il piccolo principe”, il quale riflette sul senso dell’addomesticamento inteso come creazione di legami e quindi, a mio avviso, collaborazione equa tra animale ed essere umano senza sottomissione forzata o assoggettamento di una delle due parti.
Che cosa vuol dire “?”
“E’ una cosa da molto dimenticata. Vuol dire …”
“Creare dei legami?”
“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io saro’ per te unica al mondo”.