Nella attività equestri mediate dal cavallo spesso capita di interfacciarsi con soggetti caratterizzati da disarmonie comportamentali, difficoltà relazionali o deficit intellettivi che possono anche evolvere in coinvolgimenti di tipo psicotico (disgregazione della realtà percepita con conseguente inadeguatezza nella consapevolezza nel vivere il qui ed ora in modo congruo).

Al di là delle cause che possono aver determinato queste situazioni, per il raggiungimento di obiettivi educativi e riabilitativi prefissi dall’equipe di lavoro è essenziale lavorare sui punti di forza che possano far scattare la scintilla del piacere e della motivazione nell’affrontare l’impegnativo percorso di rieducazione equestre. Il cavallo, nella sua fisicità e nel rimando empatico che suggerisce, rappresenta di per sé quell’elemento facilitante che attrae il giovane cavaliere e lo rende particolarmente predisposto ed efficace nell’attivazione personale.

La sfera emozionale è l’elemento –diremmo- principale sul quale si fonda l’intero percorso rieducativo in ambito equestre: la presenza e la conseguente interazione con il nobile animale scatena intense spinte partecipative che spesso debbono venir convogliate, contenute, gestite in modo consapevole ed efficace.

Il contesto motivante e lo scambio empatico-relazionale con il cavallo possono però sviluppare eccessi di irruenza ed iperattività: sarà quindi determinante una progressiva azione metodologica da parte del tecnico di riferimento finalizzata ad una migliore espressione della partecipazione attiva del cavaliere.

lavoro a terraLe emozioni che si innescano nell’avvicinamento al cavallo così come nelle prime attività in sella e nelle successive esercitazioni volte ad implementare il più ampio bagaglio di autonomie residue possono dare il via ad un processo comunicativo e di verbalizzazione che può sostenere l’utente nell’integrare competenze interattive, di iniziativa relazionale che in molte altre circostanze deve essere introdotto e sostenuto dall’adulto. In questo caso l’argomento (il cavallo, ciò che fa, cosa si potrebbe fare con lui e per lui…) si rivela particolarmente attraente e degno di condivisione, facilitando quindi quegli aspetti relativi al senso di prossimità con l’altro che spesso vengono inibiti a causa delle difficoltà relazionali, cognitive o psicologiche in generale.

Lo stesso affetto dimostrato verso il proprio cavallo attraverso il mettersi a sua disposizione per provvedere al suo benessere (pulizia, alimentazione… gran parte dei lavori a terra) oppure nelle espressioni non verbali (come sorrisi, abbracci, attenzione spasmodica…) rappresentano già di per sé un grande moto emotivo nel giovane praticante, sulla base del quale è possibile sviluppare nuove competenze ed abilità.

La stessa ansia è l’espressione di intense emozioni; rappresenta la consapevolezza di una novità alla quale si viene esposti ma per la quale non si hanno sufficienti strumenti per affrontarla efficacemente. La paura, tipica risposta emotiva delle prime fasi dell’avvicinamento al cavallo per alcune personalità particolarmente sensibili, è la risposta ad una “non conoscenza” della situazione (ritenuta come pericolosa) o reazione ad esperienze negative vissute nel passato in circostanze similari.

Le reazioni a queste risposte emotive anche se “negative” possono essere il punto di partenza per costruire un cambiamento –probabilmente affrontando un lungo e tortuoso percorso- finalizzato a lavorare per il benessere e maturazione della persona debole.

Attraverso il contesto informale del maneggio è possibile lavorare sulla gestione delle emozioni non certamente per controllarle con una rigida razionalità, ma per usarle strumentalmente per affrontare la realtà in modo efficace e partecipe incentivandone quella capacità di prendere decisioni valutandone i possibili effetti (planning) su di sé e sugli altri, ivi compreso il proprio cavallo; sviluppa una specifica consapevolezza e conseguente padronanza del sé  e rende la persona debole più efficiente nell’intenzionalità delle scelte intraprese agendo sulla realtà in modo più responsivo riducendo il senso di sopraffazione dagli eventi, questa volta vissuti e non subiti.