Quando ho visto Phantomas per la prima volta (dopo tante peripezie e sfortuna col vecchio cavallo che era stato con me, sano, per due mesi soltanto) è stato in Germania; e lui era un bestione che mangiava il fieno disteso lungo tutto il suo stretto box. Era così pigro e pacioso che neanche considerava la possibilità di alzarsi e smettere di mangiare. Non volevo montarlo: il mio istruttore voleva per me un cavallo piccolo e agile, considerata la mia corporatura; invece Phantomas, 178 cm al garrese per più di sei quintali, era troppo per il mio corpo magro e debole.
Allora avevo 18 anni. Uscivo da un periodo durissimo: 24 mesi passati a letto mentre anoressia e depressione lentamente mi consumavano. A 16 anni avevo creduto di non farcela: non perché fossi troppo magra come sono ora ma perché la vita, gli amici, gli affetti mi avevano così delusa che non volevo altro che lasciarmi morire. Poi arrivò il regalo della nonna: lezioni di equitazione in un maneggio di Scandicci, vicino Firenze. Si era aperto uno spiraglio.
Adoravo i film con i cavalli: mi davano un’idea di libertà! Così, quando ormai stavo per cedere alla malattia, il mio primo cavallo mi aveva dato la forza per riprovare a vivere. Questo mio primo amore si rivelò per me difficile: era malato e per curarlo dovetti smettere di montarlo e mandarlo lontano, al prato…
Di nuovo ero sola in casa con la mia unica certezza: l’anoressia e la bulimia che riempivano i miei momenti vuoti e che svuotavano l’amaro del tradimento che era rappresentato per me dalla malattia del mio cavallo. Il solo motivo per cui mi nutrivo era poter cavalcare. E, ancora una volta, non c’era più nulla da fare. Peggio: pensavo di essere io la causa del male del mio povero vecchio Goos e,se nel mondo equestre alcuni mi sono stati vicini, troppi sono stati cattivi e mi hanno lasciata lì.
Poi di nuovo la decisione della nonna di comprarmi un compagno che potesse far breccia nel mio cuore sostituendo quello che, ancora non mi era stato detto, non sarebbe più potuto essere il mio Goos.
E così è arrivato Phantomas 007: un bestione leggero, sensibile, deciso e coriaceo; considerato da tutti come ghiaccio bollente. Giorno dopo giorno, nonostante incolpassi anche lui della vendita obbligata di Goos che ormai non poteva neanche più essere montato, Phantomas conquistava letteralmente la mia anima e mi faceva riavvicinare a mio padre (che non amava i cavalli), coinvolgendo anche lui e rendendoli entrambi, ai miei occhi, due punti di riferimento: una specie di gancio personale in mezzo al cielo per riattaccarmi alla vita. Questo anche perché Phantomas era difficile da sellare e delicato da gestire. Aveva bisogno di me, e io di lui. Ora che di anni ne ho 33 i cavalli, e uno in particolare, sono la mia ragione di vita.
Tornando al 1999, ero appena maggiorenne e continuavo a lottare contro il mio male e la paura della gente e il loro parlare senza sapere e senza capire, il loro vedermi soltanto come una malata che tentava di montare in sella. Ero andata in Germania per comprare un cavallo. In una scuderia avevo visto Phantomas 007. L’istruttore del centro mi disse: “O lui o nulla”. Non lo volevo perché portava il calesse ed era uno scarto, io invece puntavo a fare i concorsi. Ma quel Westfalen di sette anni era più determinato di quella ragazzina così viziata e arrabbiata col mondo.
Quel giorno l’avevo montato a più riprese. Ogni volta mi buttava a terra. E ogni volta tornava da me. Mi stava sfidando. Poi ho saputo che era nipote di Pilot. Per me era un segno… Perché quando avevo comprato il mio primo giornale di cavalli era un’estate in cui stavo malissimo e in copertina c’era un’immagine di Pilot affiancata dalla scritta “genio furioso”. In qualche modo quell’animale era già parte della mia storia personale. Ma, tornando alla Storia di Phantomas 007, non appena in Italia il cavallo aveva mostrato subito di aver ereditato i geni di Pilot.
Era buonissimo e allo stesso tempo indomabile. Era disposto a saltare qualsiasi cosa gli si presentasse davanti. Ma al contempo spaccava le selle e scalciava. Era paziente con i bambini ma imprevedibile col resto del mondo: un ghiaccio bollente, appunto. Iniziò allora un rapporto intensissimo e iniziarono i concorsi. Undici anni di competizioni in cui sfioravamo l’oro nei campionati italiani. Grazie a lui stavo meglio, ma ero sempre scostante, nervosa, impaurita e soprattutto mi sentivo rifiutata dall’ambiente della monta inglese: mi sarebbe piaciuto insegnare e mi dicevano che ero solo un’anoressica, sottintendendo che non potevo ambire a niente.
Il parere di chi mi stava attorno era che fosse il cavallo a fare anche la mia parte conducendo questa anoressica al di là dei salti. Salvo poi montarci loro – i sani – su Phantomas, e cadere o non riuscire nemmeno a farlo galoppare. Phantomas era come lo specchio della mia anima: dimostrava che solo Noi potevamo fare.. non io, non lui, ma Noi. Sapevo che il trucco era semplicemente assisterlo e fidarmi di lui.
Un primo incidente bloccava Phantomas nel 2010: aveva subito una lesione in uno scontro e così, il mio castrone coraggioso che senza addestramento saltava 140 cm, cominciava ad avere paura degli altri cavalli. Ho insistito a lottare contro questa sua paura fino al gennaio 2012 quando, dopo una caduta in allenamento, mi sono ritrovata io stessa in ospedale in fin di vita. Mi sono svegliata in sedia a rotelle ed ero tornata a pesare poco più di 30 chili.
Ancora una volta era stato Phantomas a rimettermi in piedi. Mio padre mi aveva lasciata sola con la carrozzina davanti al cavallo, sul quale montai grazie a una pedana da ippoterapia. Da lì ho ricominciato a camminare, aggrappandomi disperatamente al cavallo. Ma se il suo tendine era guarito permettendoci di saltare ancora insieme, dopo un anno, senza problemi, la testa di Phantomas non guariva : la paura resta salda e radicata in lui e le difese verso gli altri cavalli aumentano al punto da indurre tutti, me compresa, a pensare di dover rinunciare, stabilendo che Phantomas non poteva più essere montato.
Non mi perdonerò mai per avergli “passato” le mie paure e per aver dato retta a coloro che dicevano che ero io ad essere troppo debole per gestirlo, perché facendolo montare ad altri ho ottenuto l’effetto di renderlo sempre più nervoso e impaurito, pieno di sfiducia verso i suoi simili: al punto che penso che le mie nevrosi e le mie paure rispetto ai miei simili siano diventate le sue verso i suoi simili. Si trattava di un rapporto di simbiosi pericoloso per entrambi al punto da condurmi alla decisione di diminuire le visite al maneggio, affinchè lui tornasse a stare con gli altri cavalli.
Ma tutt’ora non riusciamo a restare lontani, anzi: due anni fa, per Natale, dopo due mesi che non mi vedeva, Phantomas aveva ridotto al minimo l’alimentazione al punto da essere portato in tutta fretta alla clinica di San Rossore dove aveva rischiato di morire, salvo poi starci vicini e farlo ricominciare a mangiare grazie al medico che lo cura da ormai 15 anni. Mi struggevo per il desiderio di stargli vicino ma mi sentivo in debito con lui per i 14 anni in cui si era preso cura di me. Ora tocca a me soffrire per lui, senza averlo come vorrei! Il sogno di lavorare insieme rimane: vorrei vendere la casa e creare un centro di riabilitazione per cavalli e disabili.
È stato sempre grazie a lui che ho ricominciato a studiare e adesso sento di portare con me un bagaglio di 15 anni di soddisfazioni, perché con Phantomas ho imparato a cadere e a rialzarmi. Su di lui ero qualcuno. Quel cavallo mi ha finalmente resa visibile agli altri, mi ha fatto montare cavalli campioni olimpionici, puledri, cavalli difficili. Mi ha resa qualcuno, importante sia ai mie occhi che a quelli degli altri. Per me che desideravo soltanto essere trasparente, lui è stata la salvezza.
E ora che non c’è più, con l’ippoterapia che in Toscana non ha spazio e i miei sogni che vanno a rotoli, mi sto perdendo ancora.
Poi ho visto il vostro articolo e ho pensato che forse ne vale di nuovo la pena… Perchè c’è chi va oltre i concorsi e oltre le apparenze. Ho scelto grazie a Equitabile® di provare nuovamente a rialzarmi. Ho scelto grazie a Equitabile® di non arrendermi, per potervi conoscere.
Debora Baldi
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