Arriva un momento della tua vita che sei chiamato a fare un bilancio di tutto quello che ti appartiene e non, di ciò che sei o vorresti essere, di ciò che più desideri e non hai mai avuto il coraggio o l’occasione di metterti in gioco; ti senti come una piantina che non ha ricevuto abbastanza acqua e desideri una piccola-grande rivalsa…
Certo: una grande passione per il cavallo non basta a colmare il vuoto della mancanza di un figlio, e nemmeno le responsabilità che hai sul lavoro quotidiano soddisfano così tanto come negli anni passati, anzi, ora ti pesano pure.
Allora vai alla ricerca di qualcosa che possa rinvigorirti, senza sapere in fondo di cosa in particolare, fino a quando ti parlano di corsi di ippoterapia: la possibilità cioè di stare a contatto con i cavalli e contribuire a far qualcosa di buono per gli altri, soprattutto chi è più in difficoltà e che spesso apprezza di più le piccole gioie della vita. Un occasione per colmare quella parte della mia personalità per troppo tempo trascurata che finalmente può riemergere donando qualcosa di te a chi ha bisogno.
Cerco su internet e scopro che esiste una scuola che propone corsi di ippoterapia e che ti permette di operare nel mondo della disabilità senza che ti venga richiesto alcun diploma, nessuna competenza, eccetto quella del saper montare a cavallo.
L’impegno certo non è poco: si richiedono tantissime ore di presenza per la formazione (un centinaio) e altrettante per il tirocinio.
Mi iscrivo al corso convinta di questa proposta formativa ed inizia la mia avventura!
Il primo giorno di “scuola” mi ritrovo con più di 30 ragazze per lo più giovanissime, alcune delle quali senza alcuna esperienza equestre; l’aria che si respira è davvero da caserma, freddina ed a tratti intransigente, ma l’argomento trattato mi appare subito molto interessante, rendendo l’ambiente di nuovo accogliente: il cavallo come strumento di terapia, come protagonista principale per aiutare tante persone (dai più piccoli fino alle persone anziane) a ritrovare quello stimolo e quella forza di vivere nonostante la disabilità.
Percepisco da subito molta professionalità, il corso è valido, ma, quando ci portano all’interno dell’edificio dove si svolgono le attività pratiche la mia emotività non riesce a non trasparire.
Il susseguirsi delle riprese in sella è continuo: ogni lezione ha una durata diversa a seconda del caso da trattare e dal momento che certe situazioni sono davvero molto gravi a volte la durata è di soli 10 minuti, e allora le lacrime non riescono a trattenersi.
Giorno dopo giorno mi accorgo che è pesante recarmi alla scuola, non certo per gli argomenti trattati, anche se a volte di difficile comprensione, ma per il clima che si respira.
Le mie colleghe sono molto agguerrite; sono quasi tutte convinte che se non dimostri di essere brava verrai bocciata. Ma come? Io pensavo di essere lì per imparare, non per dimostrare qualcosa, convinta come sono che con la disabilità sia necessaria l’accoglienza, il rispetto, la pazienza, l’attenzione…
Credo che il corso di ippoterapia di questa importante scuola –superato alla fine pure brillantemente, in barba a quell’idea falsamente meritocratica che si era insinuata nel gruppo- sarebbe stato davvero molto bello se il clima fosse stato diverso, se il numero delle partecipanti fosse stato inferiore (eravamo veramente in tante!) e se non avessi assorbito sentimenti così contrastanti.
Situazioni incoerenti rispetto ai miei principi ed abitudini. Alcuni esempi di situazioni che ho potuto osservare direttamente: quando abbiamo assistito ad una bimba in ripresa che è stata letteralmente obbligata a scendere da cavallo perché si era rivolta in modo maleducato all’operatore, o quando ho visto un bambino che, alla sua prima salita a cavallo, piangendo per la paura, viene preso con forza e messo in sella sulla base del principio che è lo stesso cavallo che funge da sedativo, da terapia…
E quando, per dimostrare la nostra inettitudine come normodotati nel rapportarci con la disabilità, viene fatta svolgere una ripresa con tre disabili ad una tirocinante (con brevetto di istruttore fise) che naturalmente non riesce a gestire e fallisce nell’intento di farsi ascoltare e ubbidire? A quale pro?
Riesco, nonostante ciò, a portare a termine le ore di frequenza e a superare l’esame, ma mi riesce difficile pensare di essere pronta ad operare sul campo. Sento su di me tutta la responsabilità di quella teoria spiegata in ore di frequenza; sento altresì, dopo ciò che ho potuto vedere, di non essere all’altezza.
Pur avendo appreso così tante cose teoriche mi rendo sempre più conto di quanto mi manchi un’altra parte, quella che avvicina a comprendere il mondo delle disabilità, l’approccio più appropriato ed una modalità di intervento più naturale e meno impositiva.
Per questo scelgo di iscrivermi al corso promosso da EQUITABILE®, descritto non come un “canonico” corso di ippoterapia ma come occasione alternativa per vivere l’incontro ta cavallo e persona debole al di fuori dei tradizionali schemi riabilitativi e medicali, nella speranza di trovare ciò che mi serve.
Si tratta di alcune giornate di frequenza, certo non molte, ma, fin dall’inizio mi viene trasmessa una percezione diversa; Roberto e Loredana mi sembrano due persone che davvero si completano e che trasmettono con serenità tutta la loro passione per il loro lavoro.
Le lezioni vengono svolte in modo competente ma non scolastico, la teoria è in fondo abbastanza semplice ma i temi sono proposti da un’altra angolazione: il centro attorno a cui gravita il corso non è il cavallo (che pur ha un ruolo importante) ma la persona disabile, e la relazione che fin dall’inizio si instaura con l’operatore in un clima dove l’animale contribuisce a rendere facilitata la partecipazione attiva del cavaliere “speciale”.
E’ l’educazione e non la terapia fulcro e centro attorno al quale si possono ottenere progressi e non miracoli; la sensibilità e l’esperienza dell’operatore diventano quindi fondamentali nello sviluppo di abilità trasversali della Persona, pur nello scambio affettivo-relazionale con il cavallo.
Con i presupposti di EQUITABILE® gli obiettivi da raggiungere diventano punti di riferimento che partono non dalla disabilità o dall’etichetta evidenziata da una fredda “patologia”: tutto viene ribaltato sulle abilità residue, su ciò che la persona debole può essere in grado di fare se incontra sulla sua strada qualcuno che crede nelle potenzialità e non si limita a concentrarsi sulla componente “malata”.
Esperienze vissute come, ad esempio, l’averci bendati per metterci in condizione di “sentire” come può sentire e vivere la cecità una persona cieca mi ha aperto gli occhi…
Il rapporto con l’altro che non è il disabile in quanto tale ma una persona con tutto il suo mondo mi ha fatto capire che prima c’è la conoscenza, l’osservazione, il contatto, la comunicazione; solo dopo subentra il cavallo che non può ridursi a “sterile” strumento o “mezzo” ma deve essere protagonista attivo e soggetto portatore di diritti da rispettare e riconoscere.
Dopo aver vissuto esperienze formative ed umane così diverse nel panorama dei differenti corsi di ippoterapia promossi dalle diverse scuole, ritengo di avere sufficienti indicazioni per impostare una ripresa individualizzata sul bisogno e caratteristiche di “quella persona” e non riferita alla patologia che la contraddistingue.
Ora posso mettermi in gioco con più serenità perché il mio percorso si è completato, e sebbene la strada sia ancora lunga e piena di nuove competenze ed esperienze che mi aspettano in questo settore, ritengo di avere sufficienti strumenti per poter finalmente unire la mia passione per il cavallo al servizio del Sociale!
Oriana Cerutti
Operatore di Equitazione Integrata EQUITABILE®
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