Quando si propongono le attività assistite dal cavallo a differenti utenze, siano esse caratterizzate da deficit cognitivo, neuromotorio, comportamentale o relazionale, in alcune circostanze ci si trova di fronte al grande dilemma di quali attività proporre relativamente agli esercizi di ippoterapia fruibili in relazione a specifici bisogni.
Questa tematica è particolarmente ricercata per la realizzazione di tesine descrittive dell’attività riferita alle iniziative equestri rivolte a soggetti deboli o per sviluppare specifiche argomentazioni di tipo tecnico sulle operatività da realizzare in vista della definizione di un progetto di ippoterapia per disabili.
E’ subito da sottolineare che gli esercizi di ippoterapia prevedono una molteplicità di tecniche, sfumature ed adattamenti, tali da rendere potenzialmente “pericoloso” l’argomento se intercettato da un lettore (magari addetto nel settore alle prime armi) che, per le più disparate esigenze, manifesta l’attesa più o meno dichiarata di dover risolvere una criticità oggettiva sull’intervento operativo rivolto ad un particolare utente con il quale sta approcciando e con il quale non si raggiungono i risultati attesi.
Con questo scritto non si vuole quindi fornire alcuna indicazione tecnica atta a dare risposte univoche sull’argomento in quanto la complessità delle situazioni affrontate e le caratteristiche soggettive di ogni singolo cavaliere che approccia alla rieducazione equestre non permettono di dare elementi definenti per il raggiungimento di specifici obiettivi, siano essi di carattere educativo, ludico ricreativo, che riabilitativo vero e proprio.
Rem tene verba sequentur: da chiari obiettivi le procedure da eseguire
Gli esercizi di ippoterapia devono essere sempre ricondotti al principio dell’intenzionalità operativa: in un progetto mediato dal cavallo in chiave equestre per soggetti deboli il presupposto fondante l’organicità della strutturazione consapevole di qualunque intervento è la conoscenza del nostro utente e delle sue caratteristiche globali (quindi non solo la patologia) sul fronte delle funzionalità, del comportamento e, non meno importante, rispetto alla sfera della comunicazione e relazione con l’ambiente circostante.
Questo aspetto è basilare per la presa in carico di un nuovo utente in qualsiasi intervento assistito e rappresenta il punto di partenza per la definizione degli obiettivi sui quali poggiare tutto il lavoro tecnico e relazionale, al fine di produrre le cosiddette referenze, ovvero i cambiamenti e miglioramenti che saranno successivamente oggetto di valutazioni conseguenti ad opportune e periodiche verifiche dei risultati raggiunti.
Ecco quindi che prima di parlare di esercizi di ippoterapia –siano essi da proporsi in sella e nelle attività a terra– è indispensabile parlare di obiettivi. Senza questo passaggio elementare -ma sempre importante da sottolineare per evitare incomprensioni con l’attento lettore- non è possibile passare alla fase successiva del “cosa proporre” per raggiungere l’obiettivo.
L’obiettivo è concentrato sullo sviluppo delle competenze cognitive? Quelle relazionali o della sfera affettivo-empatica? Siamo chiamati a contribuire a sviluppare una certa reciprocità con il cavallo e l’ambiente esterno per migliorare le sfere relazionali di un soggetto con disturbo autistico? La persona manifesta ansia o esprime il suo disagio con comportamenti antisociali o psicosi?
Il problema è riferito allo sviluppo dei tempi di attenzione (o di attesa) o nel contribuire a sviluppare una certa motricità sempre più fine e consapevole?
Dobbiamo lavorare sull’orientamento spazio-temporale sia in campo che nello spazio più ampio dell’intero maneggio?
Dobbiamo lavorare per stimolare al raddrizzamento capo-tronco del nostro cavaliere in sella o contribuire per far si che mantenga più alta la testa durante l’attività? Il nostro cavaliere per la sua condizione di spasticità, nella guida del cavallo lo disturba in bocca mettendo l’animale in opposizione?
Vogliamo lavorare per migliorare l’equilibrio ma il mio utente non stacca le mani dalla sella per paura? Infila tutto il piede nella staffa e non riesco a garantire la sua sicurezza ed incolumità di fronte ad una possibile caduta?
Qual è la modalità più opportuna per far montare in sella il nostro utente? Ed il metodo più opportuno per la discesa?? Usare o meno gli ausili per le salite o normalizzare le salite in sella?
Il nostro cavaliere non è in grado di tenere le redini nel modo corretto e le perde frequentemente? Qualunque intervento parte sempre dal maternage terapeutico? Come stabilire se è meglio utilizzare la sella o il fascione?
Queste sono solo alcune delle problematiche (obiettivi) che possono presentarsi nell’operatività quotidiana.
Ad esse sono associati specifici esercizi di ippoterapia o opportuni adattamenti da associare alle basilari regole dello sport equestre che vengono insegnati nei corsi rivolti ai futuri operatori del settore ma che da soli non permettono di sedimentare ed adattare alle singole circostanze e variabili le tecniche apprese in ambiente protetto e controllato.
Ecco perché riteniamo fondamentale associare una buona base formativa (magari successiva ad una matura conoscenza del cavallo ed esperienza di tipo sportivo equestre, non obbligatoriamente agonistica, anzi) con l’opportuno affiancamento –la ormai poco conosciuta “gavetta”- per ridefinire e condurre alla pratica delle singole soggettività gli esercizi di ippoterapia appresi durante i corsi.
Da questo punto di vista riteniamo opportuno richiamare l’attenzione del lettore nell’affidarsi a scuole di formazione specifica che, al di là dei riconoscimenti formali necessari, forniscano quel necessario senso di fiducia e che dimostrino “sul campo” serietà e coerenza tra ciò che propongono e ciò che praticano.
Sembra un’ovvietà ma non lo è…
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