Sempre più spesso l’interesse di molti appassionati e proprietari di cani, gatti, etc. si concentra verso le attività assistite dagli animali, chi per intraprendere una nuova attività lavorativa, chi per semplice desiderio di mettersi a disposizione a titolo volontaristico.
Quella che viene genericamente chiamata “pet therapy” prevede nella stragrande maggioranza dei casi il coinvolgimento di piccoli animali d’affezione -spesso domestici- che, per particolari predisposizioni caratteriali o di specie, possono venire impiegati negli interventi rivolti a soggetti deboli al fine di migliorare la loro qualità della vita, incentivare la socializzazione e forme di educazione informale o stimolare al recupero delle abilità residue.
Cani, gatti, coniglietti nani, furetti: molte sono le specie animali che vengono adottate per le iniziative mediate rivolte ai più deboli come ai bambini. Diciamo che il piccolo animale “fa da padrone” negli interventi assistiti essenzialmente per la comodità operativa e per l’immediatezza nella percezione di quanto possa essere di supporto alle varie forme di disagio.
Le attività assistite dagli animali possono essere di tipo educativo, riabilitativo o semplicemente ludico-ricreativo; il coinvolgimento del piccolo animale è certamente semplice da gestire e promuovere proprio perché gli interventi vengono effettuati in struttura, ovvero dove il conduttore con il suo “pet” si recano per svolgere il loro servizio (scuola, casa di riposo, ospedale…).
E’ però da sottolineare che le attività assistite dagli animali ultimamente appaiono alquanto inflazionate a causa di molte, troppe proposte di intervento (spesso molto simili tra loro e poco innovative) degli aspiranti “pet-consulenti esterni” che bussano alle porte delle diverse strutture sanitarie e socio-educative nella speranza di una agognata collaborazione.
La concorrenza è agguerrita, e se da un certo punto di vista questo è sintomo di una spiccata vivacità nel settore, all’opposto i differenti progetti ed appartenenze a questa o quella scuola di pensiero o ente confermano quanti interessi possono gravitare intorno al mondo dei “pet”.
La differenziazione rispetto a quanto promosso dagli altri operatori del settore ed un certo desiderio di innovazione per attirare nuovi bisogni di possibili fruitori delle attività assistite dagli animali portano alcuni professionisti ad approcciarsi a nuove proposte ed iniziative, spesso specializzandosi su specie faunistiche alternative come delfini, lama, alpaca, asini, cavalli…. o adattando i loro servizi a particolari target di utenza o determinati campi d’intervento.
In questo articolo desideriamo porre l’attenzione sul cavallo, nobile animale per eccellenza che troppo spesso è associato nel suo coinvolgimento nel sociale alla sola ippoterapia: attività dove il montare in sella va a stimolare sfere psicomotorie e neurologiche tali da risultare effettivamente riabilitative a tutti gli effetti nelle disabilità motorie o intellettive.
In un percorso di differenziazione ed innovazione con il quale presto o tardi alcuni professionisti debbono confrontarsi, l’avvicinamento al cavallo nella sua accezione di “pet” diventa una delle grandi “potenzialità di nuovo” da promuovere come alternativa all’intervento con il piccolo animale.
La mediazione equestre diventa così una delle possibili specializzazioni che permettono di allargare il campo d’azione del tecnico già formato in altri ambiti di intervento oppure di iniziare un nuovo percorso professionale a chi desidera muovere i primi passi nelle attività mediate dagli animali proprio in compagnia del cavallo e degli interventi ad esso associati.
Per maggiori elementi sulle peculiarità del cavallo in un approccio più “pet” che equestre è possibile leggere il prossimo articolo…
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