Uno dei primi quesiti che ci poniamo quando iniziamo a fare attività di equitazione integrata® è il tipo di comunicazione da adottare con i nostri cavalieri.
Si tratta di aspetti importanti in quanto non ci si interfaccia solo con il cavallo, per il quale è necessaria una buona dose di competenza tecnica, di conoscenza della sua natura ed indole, ma anche -e soprattutto- con una persona che molto spesso presenza delle debolezze o difficoltà tali da necessitare di particolari attenzioni da parte del tecnico.
Parliamo di livelli di comunicazine ed interscambio che si muovono in più direzioni, coinvolgendo tutti gli attori all’interno di una ripresa equestre: cavaliere, cavallo, altri tecnici coinvolti, volontati ed eventualmente altri cavalieri con i quali si intreccia una relazione strutturata e commisurata con le competenze dei singoli interlocutori.
Cerchiamo di capire qualcosa in più sulla comunicazione.
La comunicazione è un veicolo di messaggi che possono essere fondamentalmente di due tipi: comunicazione verbale e comunicazione non verbale.
Vediamo più da vicino questi due modi di esplicare la comunicazione:
– Comunicazione verbale, permette di esprimere tramite l’utilizzo di parole pronunciate o scritte ciò che si intende riferire all’ interlocutore.
– Comunicazione non verbale; trova espressione nel tono della voce, nella postura, nei gesti e nello sguardo, può essere in accordo con quanto enunciato verbalmente ma può anche disconfermarlo. E’ il tipo di comunicazione più immediato, spontaneo e autentico. Per questo occorre fare attenzione ai segni che ci arrivano dall’interlocutore e soprattutto a quelli che noi inviamo all’interlocutore nell’ambito dell’equitazione integrata®.
Sappiamo che la comunicazione può avere delle interferenze, ma con soggetti con difficoltà intellettive sono necessari alcuni accorgimenti; quindi in pratica che comportamento e comunicazione usare con un soggetto con disagio?
Come rendere la comunicazione efficace?
Non esiste un libretto di istruzioni che ci dà indicazioni precise, ma ci sono delle linee guida che possono essere adottate:
– Le istruzioni: devono essere brevi, semplici e devono spiegare passo passo cosa bisogna fare;
– Usare i rinforzi: premiando i comportamenti positivi.
– Ignorare tutti i comportamenti negativi usati per attrarre l’attenzione
-Non lasciare che faccia a modo suo
-Aiutare la persona a risolvere i problemi, facendo da modello, senza però sostituirsi per pietismo o per velocizzare i tempi
-Controllare: stabilire con la persona specifiche regole di comportamento, verificare che queste vengano rispettate e prendere provvedimenti ogni volta che una regola viene infranta (i provvedimenti verranno però discussi, esplicitati ed eventualmente negoziati prima con la persona).
Prima di tutto però occorre creare un contesto educativo relazionale positivo e non ansiogeno, una comunicazione empatica basata sull’ascolto e sulla risposta (una mancata risposta o una risposta errata potrebbe creare dei danni).
Condizione indispensabile per un rapporto empatico e che ci si rivolga ai cavalieri chiamandoli per nome, usando un linguaggio e una gestualità che trasmettano entusiasmo e buon umore, un tono di voce, frequenza e pause che variano in funzione dell’attività e infine approvare e rassicurare più spesso di quanto si critichi, creare sintonia tra messaggio verbale e non verbale (non possiamo chiedere di girare a sinistra indicando la destra).
Le posizioni nello spazio devono essere funzionali alla situazione, le distanze interpersonali e la sensibilità tattile sono delle variabili significative.
Uno dei primi obiettivi che possiamo ritrovarci a perseguire è di far acquisire al nostro cavaliere comportamenti e atteggiamenti che rispettino lo spazio personale dell’altro; oppure in altri casi cercare di limitare la tendenza a mantenere la distanza e l’assoluta insofferenza al minimo contatto fisico (come nel caso di alcuni soggetti autistici).
L’operatore dovrà cercare di sciogliere gradualmente questi nodi che limitano in maniera significativa la comunicazione.
Il cavallo come facilitatore di comunicazione efficace
Inutile ricordare che il contatto fisico è l’elemento fondamentale nelle attività assistite con gli animali. Esiste un contatto fisico superiore al montare sopra ad un cavallo?
Senza contare sull’importanza del lavoro a terra con questo nobile compagno che lancia un messaggio fondamentale: ci avviciniamo e lo tocchiamo al fine di accudirlo, salutarlo, guidarlo o anche solo per coccolarlo, ma con dei limiti di rispetto che vengono applicati anche a lui che è il nostro migliore veicolo di trasmissione di questo messaggio.
Quanto esposto va a creare un quadro generico riguardante l’approccio comunicativo alla disabilità, dobbiamo però considerare che ci troviamo spesso di fronte, non solo a diversi tipi di debolezze ma anche a soggetti di differenti età (anche mentale), che necessitano di un tipo di linguaggio verbale e non verbale che varia a seconda dei casi.
Le difficoltà comunicative fanno aumentare la probabilità di emissione di comportamenti disadattivi, che diventano, quasi sempre, l’unica modalità a disposizione delle persone con disabilità di far conoscere i propri bisogni, richiamare l’attenzione dell’ambiente circostante o sfuggire da una situazione non gradita.
L’obiettivo è quello di permettere alla persona di comunicare, in maniera funzionale e convenzionale, ma soprattutto attiva.
Occorre lavorare anche con sistemi alternativi, questo significa individuare, il sistema più adatto alla persona, tutto il lavoro viene individualizzato in relazione alle caratteristiche di ciascuno.
Chiaramente l’operatore che si troverà a lavorare con bambini utilizzerà delle strategie di gioco che non vengono utilizzate con una persona adulta ma con quest’ultima si attuerà una strategia con delle metodiche comunicative e di intervento più adatte all’età senza tralasciare l’importante aspetto di una ludicità commisurata alle caratteristiche dell’utente.
Già nel primo approccio ci sono delle variabili: diamo del tu o del lei? Chiaramente possiamo dare del tu anche alle persone adulte, ma è il caso di chiedere il permesso preventivamente, proprio come facciamo solitamente nella vita di tutti i giorni.
Possiamo pensare anche alle frasi scherzose che non sempre vengono colte nel senso adeguato, anzi spesso vengono del tutto ignorate.
Riteniamo opportuno citare i cambiamenti che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha apportato alla Classificazione Internazionale delle menomazioni formulata nel 1980 (ICDH), per giungere a una nuova versione della classificazione, completata nel 2002 (denominata ICIDH2), con la quale si passa da una concezione lineare di disabilità a una concezione multidimensionale, sottolineando anche a livello filosofico che chiunque può avere una disabilità (per infermità, per incidente, per età).
Qualunque persona in qualunque momento della vita può avere una condizione di salute che in un ambiente sfavorevole diventa disabilità
Occorrerà in questi casi prestare particolare attenzione al fatto che i soggetti che si sono imbattuti a disabilità tardivamente nel corso della vita, avranno una percezione diversa della realtà rispetto a chi questa situazione l’ha sempre vissuta.
Sostanzialmente tutte le persone con le quali andremo a trattare ci mettono di fronte a un serio impegno di osservazione, per selezionare gli aspetti più rilevanti tra parole, gesti e percezioni per conoscere e comprendere il soggetto che ci troviamo di fronte e successivamente attuare delle strategie di programmazione degli interventi necessari a superare i limiti ed esaltare le abilità residue, non sottovalutando il dialogo con educatori, operatori del settore e familiari che conoscono in maniera più approfondita la persona.
Vogliamo aprire una piccola parentesi che riguarda la comunicazione con i genitori e la partnership educativa: riuscire a comunicare con loro vuol dire condividere degli obiettivi e delle modalità di intervento che permetteranno alla persona con disagio di riuscire a generalizzare le abilità ricercate con l’intervento di equitazione integrata alla vita di tutti i giorni.
Sarebbe totalmente inutile lavorare su un comportamento solo nell’abito equestre per poi proseguire ad una educazione “a casaccio” e discordante con il nostro lavoro, nel quotidiano.
Ammettiamo con gioia ed orgoglio che il nostro collega cavallo spesso scatena delle intense spinte partecipative ed empatiche che in altri contesti magari non vengono fuori ma bisogna puntare sulla collaborazione se si vogliono raggiungere risultati concreti e duraturi.
Nazarena Capitano
Operatrice di Equitazione Integrata® EQUITABILE®
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