Ogni giorno che passa la nostra società accoglie un numero sempre crescente di persone provenienti da altri paesi.
Oltre ai profughi provenienti da zone di guerra e stranieri dalle zone più depresse del mondo sono molto numerose anche le famiglie provenienti da diversi paesi della Comunità Europea.
Per tutti loro il conformarsi alle nostre leggi, conoscere le nostre usanze e poter amare la nostra cultura sono un dovere, un diritto e un privilegio.
Ma come poter rendere tutto ciò possibile? Come poter integrare e arricchire queste persone in modo che possano continuare a esprimere la loro identità all’interno della nostra in maniera armonica? E perché l’attività a cavallo potrebbe fungere da ponte fra due realtà, pensieri, modi di vivere diversi?
La comunicazione alla base dell’inclusione!
Innanzitutto bisogna capire che la barriera linguistica è un grosso problema e uno dei noccioli fondamentali della questione. Senza comunicazione non si può comprendere, né farsi comprendere.
L’italiano è estremamente difficile da imparare, specialmente per chi non ha una grammatica così complessa e così ricca come la nostra.
La flessione dei verbi, il genere, il plurale dei sostantivi, gli articoli e le preposizioni sono complesse da imparare e memorizzare perciò anche se alcune persone si mettono d’impegno e imparano l’italiano “sul campo” non potranno mai raggiungere un uso corretto che permetta loro l’accesso a certe mansioni ed incarichi nel mondo del lavoro.
Quindi la lingua se non studiata in maniera precisa e scolastica può diventare un impedimento e un elemento discriminatorio nella nostra società.
Per superare questo ostacolo l’attenzione verso i più giovani (anche le cosiddette seconde generazioni di immigrati) attraverso la mediazione linguistica mediata dal cavallo potrebbe venirci in aiuto.
Sarebbe molto utile infatti sfruttare le attività a terra ed il grooming dell’animale per introdurre elementi di conoscenza linguistica che possano in una prima fase essere utili a livello pratico, come per esempio insegnare una buona gamma di parole sull’anatomia del cavallo paragonandola a quella umana, per poi diventare in una fase successiva momento di gioco e di esercizio anche linguistico sia a terra che in sella.
Questo andrà a favorire il coinvolgimento all’interno del gruppo dei pari, per facilitare la costruzione di frasi intere e di senso compiuto, usando termini e verbi sulle azioni compiute dal cavaliere, dal cavallo o su argomenti inerenti come l’alimentazione.
Tutto ciò viene fatto nell’ottica che senza scambio linguistico non c’è accoglienza, non nasce quindi il rispetto, né la voglia di interagire e di aprirsi ad un contesto che non è quello conosciuto e di appartenenza, ma che ospiterà la persona immigrata per un periodo più o meno lungo.
Da qui si origina la tendenza a chiudersi in gruppi della stessa nazionalità: si può parlare, costruire relazioni sociali e di sostegno. D’altro canto queste realtà tendono a chiudersi fra loro e a ghettizzarsi.
Ecco perché promuovere un’attività sportiva che inviti ad instaurare un rapporto con gli altri attraverso un “altro essere vivente” che non parla la tua stessa lingua potrebbe essere un’ottima soluzione per insegnare quel rispetto e quella voglia di comunicazione e conoscenza oltre che per proiettare la mente in un ambito diverso, staccandosi da tutto ciò che è conosciuto e rompendo determinati schemi.
Nel prossimo articolo si chiariranno ulteriori aspetti della facilitazione data dalla mediazione del cavallo in chiave interculturale.
dott.ssa Carla Bogoni
mediatrice culturale e operatore EQUITABILE®
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