Quella dell’insegnante equestre è una professione particolarmente ambita e, spesso, è il grande sogno di coloro che montano a cavallo.

Ovviamente la specifica formazione, fatta non solo di pratica ma anche di competenze teoriche (non sarebbe male anche una solida cultura generale…), non è sufficiente se non accompagnata da una reale esperienza sul campo che garantisca quella particolare abilità del tecnico nel sapersi destreggiare e prevenire le diverse situazioni che possono realizzarsi in maneggio con gli allievi.

E’ importante affrontare l’incarico di insegnante equestre con una particolare attenzione alle responsabilità che sono intimamente insite nel nostro sport.

Il cavallo può diventare pericoloso, lo sanno tutti… Le cadute e gli incidenti equestri sono una variabile imprevedibile con la quale tutti noi conviviamo; ecco il perché dell’importanza delle Regole: opportuni accorgimenti che riducono drasticamente la probabilità che si possano realizzare brutte esperienze che –spesso- danno origine a denunce ed un iter legale infinito, antipatico per tutti (Centro Ippico, Istruttore e persona che subisce il danno) e dalle conseguenze troppo spesso incerte.

In fondo la competenza dell’insegnante ed una sana etica professionale (…) che dovrebbe accompagnare il suo operato sarebbero già a priori una valida garanzia di affidabilità e sicurezza per l’allievo; le stesse strutture ed il parco cavalli dovrebbero andare a “chiudere il cerchio” per evidenziare la serietà di una attività importante, sana ed estremamente educativa.

In questa sede non vogliamo elencare gli articoli dei Codici (civile e penale) o pronunciamenti di Tribunali o della Cassazione perché rischieremmo di annientare psicologicamente la maggioranza dei nostri lettori; desideriamo però fornire alcuni chiarimenti che possano essere un semplice spunto di riflessione sulle responsabilità a cui si può andare incontro se, nella nostra proposta di insegnamento equestre, non si lavora con ampi margini di sicurezza, abilità tecnica e prevenzione: il cosiddetto comportamento con la “diligenza del buon padre di famiglia”!

Relativamente all’equitazione in genere, la giurisprudenza si è mostrata molto divisa sul punto se ritenerla attività pericolosa.

Tale è stata considerata in relazione all’attività svolta da scuole, circoli ippici e maneggi, ma non lo sport in sé considerato. Dalla casistica esaminata dalla giurisprudenza sembra evincersi che fattori di pericolosità risiedano solo nell’equitazione praticata a livello agonistico.

Gli studiosi per lo più sostengono che “nel caso di circolo ippico, la presenza di un istruttore, di cavalli collaudati di un maneggio e di sentieri ben tracciati (N.d.R.: riteniamo si riferisca ad un campo cintato), la conoscenza del cavaliere anche neofita delle regole fondamentali che gli consentono di fronteggiare una situazione di emergenza, il fatto che il pubblico sia assente o comunque lontano dalla zona del maneggio, rendono pressoché inesistente il pericolo che, anche se non viene del tutto escluso, non rappresenta certo una costante dell’attività”.

Bisogna però tenere presente che vi sono pronunce di orientamento diverso. Resta fermo che l’accertamento sulle specifiche circostanze di fatto risulta determinante circa l’esito del giudizio.

Sono da menzionare alcune variabili importanti per definire al meglio le responsabilità in una fitta rete di possibili attori (umani e animali):

·Il danno cagionato da un allievo a terzi durante una lezione in sella o nel trasferimento del proprio cavallo a mano dalla scuderia al campo di lavoro (o viceversa);

·Il danno che subisce un allievo durante una lezione (es. una caduta);

·La responsabilità del danno cagionato dall’animale (ovvero del padrone o di chi lo ha in uso);

·L’eventuale divisione delle responsabilità con il Centro Ippico (responsabilità solidale), reale proponente del servizio.

Nel primo caso va da se che l’istruttore è sottoposto al principio del “culpa in vigilando”: di fronte ad un danno cagionato da un allievo, spetta, infatti, all’istruttore (che voglia liberarsi da un addebito di responsabilità) fornire una controprova che dimostri di non avere potuto evitare l’evento dannoso (nonostante un adeguato controllo degli allievi lui affidati), trattandosi di una situazione imprevedibile, improvvisa, o comunque tale da non potere essere impedita con la dovuta vigilanza e prevenzione.

Qualora vengano a mancare le più elementari cautele finalizzate a mantenere la disciplina tra gli allievi e relative alla messa in atto delle basilari norme di sicurezza (es. utilizzo del copricapo rigido, staffe di sicurezza, cavalli opportunamente girati prima del lavoro ed una razionale progressione di insegnamento tecnico in riferimento alle reali risposte dell’allievo) non è possibile invocare “quella imprevedibilità del fatto che, invece, esonera da responsabilità nelle ipotesi in cui non sia possibile evitare l’evento nonostante l’adozione di un comportamento di vigilanza adeguato alle circostanze”.

È importante che il dovere di vigilanza, base fondante ad evitare il verificarsi di eventi dannosi verso gli allievi, non può essere definito in astratto su un modello generale, dovendo piuttosto essere determinato in base alle peculiarità specifiche di ciascuna situazione e altri parametri, quali, ad esempio, la pericolosità intrinseca dell’attività sportiva, il grado di apprendimento, l’età, la formazione, la maturità e la capacità tecnica dell’allievo.

E’ ben chiaro a questo punto che se ci si rivolge ad allievi giovanissimi o affetti da deficit (con parziale o totale incapacità) i livelli di attenzione si devono inderogabilmente alzare poiché l’attività diventa pericolosa e l’istruttore, insieme al centro equestre, devono attuare tutte quelle azioni atte a evitare che l’allievo possa subire (o provocare) un danno.

Quando un allievo subisce un danno (come ad esempio una frattura a causa di una caduta da cavallo o calcio) il principio del “danno ingiusto” viene sempre in soccorso al malcapitato: “Qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno” (art. 2043 c.c.).

La genericità della norma consente di colpire le situazioni e i comportamenti più svariati per il suddetto principio di non creare danno agli altri; altresì non è importante che la persona abbia agito con dolo (volontarietà del danno) o con colpa (con imprudenza, negligenza o imperizia o con violazione di norme, regolamenti, discipline). Ovviamente è indispensabile che sia evidente il cosiddetto “nesso causale” cioè il danno deve essere stato causato dal soggetto da cui si vuole essere risarciti. In sostanza il suo comportamento deve essere stato la causa dell’evento dannoso, cioè senza la sua azione od omissione il danno non si sarebbe verificato.

L’ultima variabile che abbiamo citato -ultima non per importanza- è riferita al possibile elemento che concorre al danno: il cavallo.

E’ particolarmente difficile provare l’affidabilità di un cavallo ad una particolare attività equestre: in genere però soggetti non particolarmente giovani, di razza “rustica” o che abbiano una “storia” nel nostro centro che possa garantire testimonianze “a favore” del soggetto, vengono considerati idonei per indole e mole alle attività addestrative e ricreative.

La natura dell’animale non può essere esclusa di fronte agli eventuali pronunciamenti giuridici: le reazioni del cavallo fanno certamente parte della sua natura di animale predato che, in particolari circostanze reagisce d’istinto provocando un danno. Anche qui è valido il principio del nesso causale: se il cavallo scarta a seguito di un rumore improvviso (perché viene acceso un trattore in prossimità del campo o perché qualcuno schiocca una frusta per divertimento), quest’ultimo è da ritenersi causa del comportamento dell’animale, quindi responsabile (o corresponsabile) del danno subito dall’allievo caduto.

Relativamente all’articolo che parla del “danno cagionato da animali”, il codice sottolinea che: “Il proprietario di un animale o chi se ne serva per il tempo che lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.

Se il cavallo che “disarciona” il suo cavaliere è di proprietà del centro ippico (cavallo della scuola), sarà quest’ultimo a rispondere per il danno; la stessa cosa è ipotizzabile se un cavallo “privato” viene messo a disposizione a titolo gratuito (perché il proprietario non riesce a montarlo con sufficiente regolarità ad esempio) per le attività di scuola: la responsabilità è riconducibile ancora una volta al Centro Equestre. Il rischio di impresa, ovvero il dovere imposto all’imprenditore di appropriarsi non solo dei vantaggi, si estende anche delle conseguenze negative derivanti dallo svolgimento della propria attività.

Le variabili inerenti le responsabilità e le differenti situazioni che hanno prodotto nel tempo pronunciamenti spesso contrastanti sono un valido riferimento per non incappare in situazioni spiacevoli; la prevenzione ed una buona assicurazione sono alla base di una responsabile attività professionale.

Ricordiamo che tutti i soci di qualunque associazione sportiva devono essere assicurati presso la compagnia dell’Ente al quale il centro è affiliato; i Dirigenti e Tecnici, ma soprattutto di Responsabilità Civile verso Terzi per i cavalli utilizzati nella scuola sono indispensabili!