Che il cavallo e la mediazione equestre possano rappresentare occasioni di confronto e scambio interculturale è un’idea relativamente nuova quanto innovativa, non per particolari doti facilitanti dell’animale in sé, quanto per una progettazione in ambiente informale che può offrire importanti spunti educativi ed inclusivi: parliamo dei principi di cultura ed identità che muovono le proposte di mediazione equestre.
Le differenze culturali sono spesso minate alla base da pregiudizi, apparenze, diffidenza e spesso ignoranza: la conoscenza ed un efficace scambio relazionale sono alla base della facilitazione al pieno inserimento in un clima di rispetto delle soggettive identità, provenienze e potenzialità partecipativa.
Il presupposto che muove qualunque progetto di mediazione equestre in chiave Intercultura punta ad educare alle diversità culturali utilizzando il tema del cavallo e/o della relazione con esso attraverso specifici interventi calibrati sulle esigenze/caratteristiche del gruppo di lavoro con l’obiettivo di sviluppare delle “referenze”, ovvero cambiamenti misurabili, nei singoli partecipanti.
Per riconoscere le diversità culturali è necessario comprendere il significato del termine “cultura”, determinandone le caratteristiche più intime, per poi intraprendere un percorso di decodifica delle differenze che rendono “diverso” l’altro e lo caratterizzano come portatore di una soggettiva ed univoca identità.
Senza voler cadere nella semplificazione eccessiva, possiamo definire cultura quella rete di conoscenze, credenze, tradizioni, istruzione e sapere del vivere quotidiano, abitudini e moralità di un gruppo sociale, ritenuti così importanti da divenire una dote identificativa ritenuta talmente importante da venir trasmessa alla discendenza (figli, nipoti ecc.).
All’interno di un unico gruppo sociale esistono peculiarità, competenze e conoscenze soggettive che differenziano gli stessi appartenenti rendendoli di fatto individui unici, uguali e diversi dal gruppo di origine. Identità come sintesi tra appartenenza e distinzione, quindi.
La cultura si può quindi rappresentare come una cipolla, il cui nucleo centrale è l’insieme delle conoscenze, tradizioni e competenze “più forti”, quelle che uniscono e pongono i fondamentali dell’appartenenza al proprio gruppo, mentre gli strati più esterni sono le altre conoscenze ed abilità che diventano specifiche nel singolo e lo distinguono (non così tanto da renderlo “alieno”) dal suo clan.
Il concetto di cultura può essere altresì paragonato all’Iceberg: solo una piccola parte di esso -la punta- è visibile mentre la componente più estesa è nascosta sotto il livello del mare. Questo ad indicare che gli aspetti espliciti, tangibili di una cultura sono spesso quelli più superficiali e minimali rispetto ad una complessità molto più variegata che stenta ad essere compresa nel suo profondo.
Da questi presupposti qual è l’occasione migliore per sciogliere alcuni nodi di pregiudizio e mancanza di conoscenza? La risposta più logica è: “la comunicazione attiva e la condivisione di esperienze comuni”!
Quando poi il contesto viene incentivato da nuove ed interessanti attività, e occasione di interscambio in un clima divertente, strutturato ma informale, si possono innescare interessanti spunti finalizzati al cambiamento e all’accoglienza delle diversità.
Il tema e le attività con il cavallo divengono in mediazione equestre il canale privilegiato di scambio e rielaborazione tra pari caratterizzati da provenienze diverse, spesso grazie a proposte atte a rompere alcuni schemi, preconcetti ed abitudini che portano a verificare quanto si possa essere uguali e diversi allo stesso tempo.
Il cavallo non giudica a priori; è facilmente adattabile alle situazioni anche se di fronte alla novità tende ad esprimere timore ed a fuggire. Una volta che interpreta la situazione e la definisce come non pericolosa inizia a prestare disponibilità ed accettazione alle vicinanze e contatti…
Questo non significa sudditanza e piena accettazione a priori dell’animale: è necessario partire dai suoi soggettivi bisogni, codici comunicativo-comportamentali e caratteristiche etologiche per riconoscerne le peculiarità ed individuare di conseguenza le differenze con l’uomo. A questo punto l’alterità (intesa come consapevolezza delle peculiarità dell’altro) è definita e si può iniziare un percorso di reciproco adattamento/coinvolgimento relazionale nel rispetto del diverso-specifico per concretizzare una collaborazione efficace.
Il cavallo e la relazione con esso (aggiungeremmo anche le dinamiche che esprime nel branco) suggeriscono una serie di prerequisiti da osservare, decodificare ed interiorizzare. Questi, se opportunamente ricercati, nel tempo divengono quei fondamentali per un’efficace interscambio ed adattamento alla relazione con l’alterità animale.
In un clima di educazione “laterale” diverrà quindi facile riconoscere il naturale parallelo con lo scambio interculturale: quello che permette di scoprire che le basi che contraddistinguono la relazione uomo-cavallo (e cavallo-branco) è pienamente assimilabile ai principi che regolano la convivenza in una società multiculturale.
L’approccio ad un progetto di mediazione equestre in Intercultura prevede inderogabilmente una serie di condizioni socio-antropologico-educative dalle quali non è possibile prescindere.
Gli interventi prendono spunto dai fondamenti della zooantropologia didattica per evolvere in iniziative che possano sviluppare referenze (cambiamenti) misurabili, quelle che possano venir integrate al bagaglio culturale del singolo e che predispongono al riconoscimento e rispetto delle alterità, quali occasioni di crescita umana e sociale.
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