Ogni individuo, stando alle parole di D. Goleman, possiede due “cervelli” e di conseguenza due diversi tipi di intelligenza: quella razionale e quella emotiva, o meglio, emozionale.

Abbiamo due menti, una che pensa, l’altra che sente. Queste due modalità della conoscenza, così fondamentalmente diverse, interagiscono per costruire la nostra vita mentale.

Si è ormai compreso quanto il solo Quoziente Intellettivo (Q.I.) non sia sufficiente infatti a definire la complessità della mente umana e quanta rilevanza abbia la dimensione emotiva.

Si pensi anche solo all’etimologia del termine ‘emozione’ (dal latino emovére = portare fuori), che indica una spinta ad agire, per capire al meglio l’influenza che la sfera emotiva esercita sui processi decisori della mente razionale.

La mente razionale è la modalità di comprensione della quale siamo coscienti (quella che permette la riflessione, ad esempio), mentre quella della mente emozionale è un tipo di conoscenza impulsiva (ad esempio la percezione di un pericolo prima ancora che la ragione lo riconosca come tale).

Nel momento in cui queste due componenti convivono in equilibrio e interagiscono positivamente tra loro, si ha lo sviluppo sia delle capacità intellettuali che dell’intelligenza emotiva.

Ma cosa si intende per intelligenza emotiva?

La definizione più pertinente sembra essere la seguente:

L’intelligenza emotiva coinvolge l’abilità di percepire, valutare ed esprimere un’emozione; l’abilità di accedere ai sentimenti e/o crearli quando facilitano i pensieri; l’abilità di capire l’emozione e la conoscenza emotiva; l’abilità di regolare le emozioni per promuovere la crescita emotiva e intellettuale

Si tratta cioè di un insieme di caratteristiche e capacità, presenti in ogni individuo, che riguardano diversi ambiti:
– conoscenza delle proprie emozioni; ossia la capacità di riconoscere un sentimento nel momento stesso in cui esso si presenta, permettendo cosi la comprensione psicologica di se stessi.
– controllo delle emozioni; l’autoconsapevolezza (il riconoscimento del sentimento) ha come conseguenza diretta la capacità (o almeno la possibilità) di controllare l’emozione.
– motivazione di se stessi; il dominio dell’emozione e la capacità di non cedere all’impulso facilitano la realizzazione di un qualsiasi obiettivo, stimolando e motivando il soggetto.
– riconoscimento delle emozioni altrui; si tratta dell’empatia, la capacità di calarsi negli stati d’animo dell’altro e di comprendere in modo immediato la sua situazione emotiva.
– gestione delle relazioni; conoscendo le proprie emozioni e riconoscendo quelle altrui, diventa più facile dominare queste ultime o gestirle nel modo più efficace.

In una società come quella attuale, in cui lo sviluppo tecnologico sta pian piano modificando sempre più gli stili di vita, l’alfabetizzazione emotiva sembra diventare una vera e propria esigenza.

Nella maggior parte della popolazione giovanile ad esempio, la comunicazione tramite messaggistica sta lentamente sostituendo la comunicazione verbale, e d’altra parte il diminuire del contatto visivo e fisico in genere (si pensi alle amicizie ‘a distanza’), ha effetti disastrosi sulla capacità empatica delle persone; per molti risulta impossibile interpretare il linguaggio non verbale e d’altra parte diventa sempre più difficile saper riconoscere le emozioni.

In questo senso, il cavallo può essere un ottimo insegnante!

Perché il cavallo?

Da sempre è apparsa evidente la capacità empatica del cavallo e recentemente specifici studi hanno confermato questa sua caratteristica distintiva, provando la sua abilità nel riconoscere, ad esempio, le espressioni facciali umane.

In tutti i mammiferi inoltre, la neocorteccia cerebrale, sede dei pensieri ‘umani’ più evoluti, è poco sviluppata rispetto all’amigdala e alle sue connessioni con la corteccia visiva.

Tutto ciò determina il ‘pensiero per immagini’; il cavallo ‘ragiona’ emotivamente perché ad ogni immagine associa determinate emozioni, di cui ha ricordo anche a distanza di molto tempo (e questo spiega perché un’unica esperienza negativa può segnarlo per tutta la vita).

Tale approccio emozionale a tutto ciò che lo circonda sta alla base del suo essere e lo rende un ottimo mediatore emotivo.

Il suo atteggiamento inoltre stimola l’apertura all’altro, al diverso; l’uomo, per poter comprendere il cavallo, deve necessariamente abbattere i propri schemi comunicativi, servendosi di un linguaggio differente, non verbale e anch’esso fondato sull’empatia.

Il porsi del cavallo quale compagno neutrale e non giudicante favorisce questo scambio e la nascita di un rapporto positivo, la dove l’uomo sia disposto ad osservare e ascoltare i messaggi silenziosi dell’animale.

Voglio dire che, tra i tanti effetti benefici che il cavallo può esercitare (a livello fisico e mentale), vi è la sua capacità di offrire un altro punto di vista che, l’individuo che saprà coglierlo, potrà ‘riutilizzare’ in tutti i contesti della sua vita; soprattutto nelle relazioni sociali.

Se un essere di un’altra specie può capire e sentire un uomo, allora anche l’uomo potrà capire e sentire i propri simili, accettandone anche quelle che potrebbero sembrare delle diversità (dal colore della pelle alle diverse abilità, ad esempio).

L’intelligenza emotiva nell’equitazione integrata®: la “bolla energetica”

Per tutte le sue caratteristiche sopra descritte, il cavallo, non giudicando, sa accogliere chiunque; anche quelle persone che nella società umana sono etichettate come ‘diverse’, magari solo perché mostrano segni di debolezza (presenti in tutti, anche se non si vedono) in modo più evidente.

E già questo favorisce l’instaurazione di un rapporto di fiducia tra uomo e cavallo.

Non in tutte le situazioni la fiducia si acquisisce però in modo rapido e automatico.

Casi differenti possono essere molteplici; molte persone possono essere intimorite da un animale così imponente (ancor di più agli occhi di un bambino); altri possono aver paura di montare in sella, a causa dell’altezza o di altri fattori; altri ancora possono mostrare ostilità nei confronti di alcune norme di sicurezza (come l’uso del cap, ad esempio) e così via.

Ed è a questo punto che la presenza di un tecnico (nell’attività equestre con disabili o, in altri casi, di un insegnante) quale ‘supervisore’ diventa di fondamentale importanza.

Si viene cosi a costituire la triade relazionale (che mi piace immaginare come una sorta di bolla energetica) che coinvolge l’allievo, il cavallo, e il tecnico, in uno scambio continuo di messaggi emozionali e di informazioni (verbali e non).

Al centro di questa ‘bolla’ vi è il rapporto tra l’allievo e il cavallo e, come ogni rapporto, anch’esso ha i suoi tempi e le sue dinamiche.

Il tecnico deve sì essere sempre presente, ma senza soffocare la nascita e lo sviluppo naturale della relazione uomo-animale.

In questo senso, l’avvicinamento e in generale il rapporto a terra con il cavallo sono di fondamentale importanza; il cavallo ci sente e può insegnarci a sentire, ma bisogna rispettare i giusti tempi per evitare anche piccoli traumi che possano rallentare o addirittura interrompere la relazione con l’animale.

Spetta al tecnico evitare che si presentino situazioni del genere; quale ‘mediatore’ nella relazione tra l’allievo e il cavallo, il tecnico deve permettere e facilitare, come possibile, lo sviluppo naturale del rapporto.

L’intelligenza emotiva, in particolare il riconoscimento dell’emozione dell’utente (e del cavallo), permette al tecnico di capire quando, dal suo ruolo di mediatore, è necessario prendere parte attivamente all’interazione.

Nel momento in cui l’allievo dovesse manifestare un disagio, entrerà in gioco l’intelligenza emotiva del tecnico (e la sua empatia), il quale dovrà trovare la strategia più adatta (adatta all’utente, al cavallo e al contesto in generale) per semplificare la situazione e superare o aggirare l’ostacolo (problem solving).

Esperienza personale

Molte persone sembrano far fatica a comprendere quanti e quali benefici l’equitazione integrata® e il contatto con il cavallo in genere comportino su chi ne fa esperienza.

Almeno finché loro stesse non si avvicinano a questa realtà; a quel punto la magia che il cavallo esercita sul mondo che lo circonda diventa evidente.

Io ho avuto più volte la fortuna di poter assistere al formarsi di quella ‘bolla energetica’ di cui si parlava sopra, e talvolta di prendervi parte attivamente.

In quei momenti sembra che tutti i partecipanti all’attività siano legati da un filo invisibile che li tenga immancabilmente uniti, in simbiosi, in una dimensione ‘altra’ fatta di scambi telepatici (o meglio, empatici), in cui tutto è possibile, in cui non esistono barriere o confini.

Proprio pochi giorni fa ho potuto essere testimone di un’esperienza così intensa, quando Simone, un ragazzo di diciotto anni con un ritardo mentale lieve, è venuto a fare la sua lezione settimanale in compagnia di Kimera, cavallina dalle mille risorse.

Simone è già da parecchio tempo che porta avanti questa attività e ha una certa autonomia nella gestione del cavallo; la sua difficoltà principale, cosi mi è parso, sta nella coordinazione dei movimenti; fa fatica ad essere armonico in sella e soprattutto a trovare l’equilibrio e la cadenza nel trotto.

Proprio affinché Simone avesse la possibilità di concentrarsi sul proprio assetto e potesse sentire pienamente i movimenti del cavallo, l’operatore, al momento del trotto, ha pensato di eliminare l’elemento di distrazione rappresentato dalle redini (legate al pomo della sella in modo che non intralciassero Kimera), a cui spesso il ragazzo faceva ricorso per non perdere l’equilibrio; le sue braccia dovevano restare sollevate o in alternativa poggiate sui fianchi.

Ed ecco che l’energia che circola tra chi sta in campo esplode nella sua forma più travolgente; la cavallina capisce tutta la situazione, o meglio la sente pienamente, percependo e assecondando ogni tacita richiesta dell’insegnante.

E Simone… Con le braccia aperte, gli occhi per un attimo chiusi, un sorriso stampato in volto, pieno di fiducia e senza paure, comincia veramente a volare.
Se non è magia questa…

Conclusione

In conclusione, ritengo quindi che sia necessario divulgare il più possibile le possibilità che il cavallo ci offre.

Se, molto superficialmente, cavalcare può essere un divertimento, d’altra parte il rapporto con questo animale può farci diventare delle persone migliori.

Lo dico con cognizione di causa perché, in base a quanto trattato più sopra (basti guardare l’uso degli smartphone tra le nuove generazioni, ad esempio), non si può negare che la nostra società e il singolo stiano andando incontro ad un processo di decadenza e di chiusura agli stimoli esterni al sé, dovuto anche al lento atrofizzarsi della capacità empatica.

Il cavallo può farci diventare migliori perché può aiutarci a riscoprire un rapporto più primitivo e più vero con il mondo circostante e con l’altro, insegnandoci il proprio linguaggio, l’espressione dell’emozione.

Se Goleman evidenzia la necessità di educare all’emotività, di insegnarla nelle scuole, io ritengo che non esista maestro emotivo più efficace, nel suo silenzio cosi comunicativo, del cavallo.

Giordana Bilchi
Tecnico EQUITABILE©